“Ho letto d’un fiato la biografia di Antonio Negro, al quale ho avuto l’onore di essere vicino per sette anni e che è poi rimasto sempre dentro di me. Racconta di un antico mondo quando l’Omeopatia aveva radici nel pensiero e nella scienza accademiche e personalità di rilievo la tenevano in conto, la praticavano, ne avevano considerazione e rispetto. Di questo mondo non c’è più traccia, nemmeno nella memoria storica“.
IL MEDICO OMEOPATA n. 84 (Novembre 2023)
Dott. Gustavo Dominici
Sono trascorsi ben 40 anni da quando conobbi il Prof. Antonio Negro e tentai di seguirne le orme. Ricordo la sua simpatia, la sua ironia, la sua enorme capacità di lavoro. Era il tempo in cui il sapere accademico osava affacciarsi su mondi sconosciuti, non aveva recinzioni di filo spinato elettrificato. Un mondo che ho solo sfiorato, ci sono entrato quando era già sul finire. Al tempo vedevo arrivare nello studio del Professore grandi medici nella veste di pazienti riconoscenti, che ricoprivano persino cariche istituzionali e non trovavano alcuna contraddizione fra questi ruoli e la terapia omeopatica propria e dei loro familiari. Sono trascorsi per l’appunto 40 anni e molti colleghi si sono spesi con intelligenza per tessere rapporti con il mondo della medicina convenzionale, hanno fatto molto e del loro meglio. Col tempo accontentandosi sempre di meno: di una qualche considerazione, uno spazio, un invito in tv senza essere insultati … uno sguardo … un sorriso benevolo. La curiosità e la stima nei nostri confronti della scienza medica ufficiale si sono trasformate in indifferenza prima, in aperto disprezzo poi. Lasciamo da parte le ipotesi sul perché sia accaduto tutto ciò e anche le critiche agli omeopati che ci hanno creduto, che critiche non ce ne sono. Di certo attualmente un occhio vigile veglia su tutto ciò che si muove ed esula dai rigidi dettami della “scienza del farmaco” e sulle trasgressioni ai protocolli, dogmi che, se sostituiti anche con successo, si diventa passibili di pena. L’essere contrari alla Medicina Omeopatica è diventato biasimo, quasi che praticandola si stesse commettendo un peccato, un’azione comunque dannosa per la comunità. Il medico in genere rimprovera aspramente i pazienti che si curano omeopaticamente, cerca di riportarli sulla retta via, terrorizzandoli, senza alcun ritegno, dandosi un’autorità morale che non si capisce da dove arrivi, ignorando la libertà di cura di ogni individuo. Possiamo affermare con certezza che “la via politica” che avrebbe dovuto far avvicinare omeopatia e scienza medica ufficiale è definitivamente fallita.
E allora, cosa dovremmo fare? La risposta è molto semplice: il nostro mestiere al meglio.
Anche se qualcosa da grattar via ci sarebbe, ad esempio quella strana e sottile e profonda sensazione di essere orfani di qualcuno ed il conseguente anelito a ricercarne la considerazione, la stima, l’attenzione. E non importa cosa faremo per ottenerle, come lo faremo e che risultati avremo, perché non sono i fatti che contano. L’Omeopatia è poca cosa in termini di fatturato per mettere a rischio l’impero del farmaco, eppure ha in sé una potenzialità così dirompente da risultare un pericoloso insulto, una sorta di bestemmia al loro dio. Siamo in effetti accusati di blasfemia. Hanno trasferito sul piano morale o persino religioso quello che dovrebbe essere esclusivamente dibattito di fatti, di riscontri, di fallimenti o guarigioni dimostrabili.
Una mia paziente settantenne è andata a visita da un collega cardiologo. Non aveva particolari patologie, era lì per un controllo che a 70 anni è opportuno. Tutto era a posto, ma quando il collega è venuto a sapere che non assumeva alcun farmaco e che si curava omeopaticamente la gentilezza si è trasformata in vere e proprie urla. L’ha accusata. Già, ma di cosa? In fondo era in invidiabile buona salute. L’ha accusata di aver deviato dal dogma, nonostante gli ottimi risultati. Ed il collega non aveva psicopatologie in atto, era un medico perfettamente normale, inquadrato in un sistema di pensiero che non ammette trasgressioni. Questo ora viene definito scienza medica. E che tipo di rapporto si pensa di intrattenere con costoro? Suvvia, datevi un pizzicotto e tornate in voi, amici omeopati troppo volenterosi. Non sentitevi orfani, non sono questi i nostri genitori con cui recuperare un rapporto né una qualsiasi forma di comunicazione.
Non ho alcuna fiducia negli Omeopati che non siano anche bravi medici. Credo danneggino gravemente la Medicina Omeopatica e ci facciano meritare alcune critiche. Che vuol dire essere bravi medici? E’ semplice ed intuitivo: vuol dire saper valutare il paziente dal punto di vista delle malattie, saper fare diagnosi e prescrivere esami adeguati. Conoscere perfettamente il limite da non superare, dove il rischio per il paziente può farsi eccessivo. Saper fare retromarcia quando dei segnali ci avvisano. Seguire accuratamente i casi a rischio o semplicemente rifiutare di seguirli perché oltre le nostre possibilità. Avere chiare cognizioni su quali farmaci è bene lasciare e quali mantenere e quando e come eventualmente sospenderli. Saper dire no a tanti esami inutili perché si conosce bene il decorso della patologia in questione. Questo e altro ancora. Fuori di qua c’è l’omeopata miracolista che, sulla base di alcuni casi di successo, estrapola tale possibilità a tutti gli altri dimenticando gravemente che ogni caso è un caso a sé e che non si possono promettere guarigioni a priori. Fuori di qua c’è una superficialità pericolosa, dannosa per il paziente e per l’Omeopatia tutta. Fuori di qua c’è la benzina da far esplodere sui giornali dove il caso dell’errore medico di un omeopata è notizia succulenta e ricercata, al punto a volte da essere fabbricata ad hoc. Il primo passo, quindi, è essere bravi medici. Non è questa una condizione aggirabile.
Il passo successivo è ottenere risultati, come si dice, guarire, o far recuperare al paziente la migliore condizione possibile. Siamo qui per questo, esclusivamente per questo. L’Omeopatia esiste ancora perché gli omeopati sono ancora capaci di curare. E non si creda che i progressi della scienza medica – benvenuti quando apportano reali vantaggi – abbiano saturato i campi d’intervento: in realtà gli individui ammalano di più e peggio, semplicemente sopravvivono più a lungo con il carico di malattie e farmaci. Utilizziamo logicamente tutti i progressi tecnologici che hanno aumentato notevolmente le capacità diagnostiche, traiamo beneficio dalle accresciute conoscenze fisiopatologiche, ma non possiamo che biasimare una terapia esclusivamente soppressiva, dove si spegne un fuoco e si accumula materiale per un incendio peggiore. Sappiamo che ogni aspetto della sofferenza umana può trarre giovamento dalla Medicina Omeopatica, ma dobbiamo agire utilizzando dei criteri che ci permettano di documentare i nostri casi. Dobbiamo re-imparare a scrivere, per noi e per gli altri. Sono quasi 30 anni che esiste questa rivista e, purtroppo, ancora arrivano testi un po’ sgangherati o mancanti di elementi fondamentali. Temo che nessuno abbia mai consultato le norme per gli autori. E’ il momento di fare un ulteriore passo in avanti, noi e voi. E’ il momento di rendere i nostri risultati ineccepibili, per noi e per il mondo esterno. I NOSTRI RISULTATI DEVONO ESSERE LEGGIBILI ED APPREZZABILI ANCHE DA UN PROFANO. Questo salto di qualità ci permetterà di confrontarci con chiunque, alla pari o, meglio, un gradino più in su, all’altezza che ci spetta di diritto.
Buon lavoro.
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