Il senso della malattia (e della cura)

“Ci si può limitare come terapeuti a cercare il giusto rimedio omeopatico per il paziente che abbiamo davanti; come pazienti ad affidarsi ad un omeopata che trovi la cura per la propria sofferenza. Se però si fa appena un passo più in là si deve concludere che la scelta di curare e curarsi con la Medicina Omeopatica è parte di una visione più ampia, chiara e definita della vita e dell’essere umano.”

IL MEDICO OMEOPATA n. 81 (Dicembre2022)
Dott. Gustavo Dominici

Recentemente a Roma si è svolto il XVIII Congresso FIAMO. Una importante sezione è stata dedicata all’oncologia integrata. La Medicina Omeopatica può essere di grande aiuto nella cura del cancro, coadiuvando la chemioterapia con risultati che non si limitano alla riduzione degli effetti collaterali. Ne conseguono scenari di concreta collaborazione con la Medicina Convenzionale. Quando l’azione terapeutica va a vantaggio del paziente non può che essere benvenuta.

Cosciente della potenzialità e delle difficoltà di tale approccio integrato per averlo vissuto varie volte come terapeuta sottolineo la necessità che il paziente sia consapevole e faccia una chiara e solida scelta di fondo: assumere solamente i farmaci utili a combattere le cellule cancerose, per tutti gli altri sintomi fare riferimento alla terapia omeopatica. Senza questa scelta i differenti approcci inevitabilmente verranno a cozzare l’uno contro l’altro, ponendo il paziente di fronte a scelte difficili con il rischio di compromissione della terapia. Se, ad esempio, comparissero manifestazioni cutanee, da una parte verrebbero prescritti antistaminici e cortisonici per fare scomparire al più presto il sintomo, dall’altra medicinali non soppressivi per attenuare la manifestazione, leggendola come un processo esonerativo dell’organismo per disintossicare il paziente dalle conseguenze dei trattamenti. E’ evidente come l’approccio risulti diametralmente opposto e porti a scelte inconciliabili.


Cambiando scenario troviamo lo stesso radicale quesito nell’epidemia da Covid (ed in ogni altra epidemia): con l’approccio convenzionale ogni sintomo va aggredito, eliminato, cancellato. Non solamente i sintomi patognomonici di una compromissione profonda dell’organismo, ma anche, ad esempio, una febbre non troppo elevata, un catarro, una diarrea. E’ mia documentata opinione che molti casi di long-Covid siano stati conseguenza di questa attitudine aggressiva verso manifestazioni funzionali alla lotta dell’organismo al virus. La mancanza di una lettura ragionata dei dati, la mancata gerarchizzazione dei sintomi del paziente, in definitiva la mancata attribuzione di senso ai sintomi sono la vera reale differenza, qualunque settore si esamini.
Possiamo semplicemente concludere che a fronteggiarsi sono una visione olistica dell’individuo da un lato ed una visione settoriale dall’altro. Rimane però impressionante come la sintomatologia di un malato, non strettamente correlata alle dinamiche fisiopatologiche, sia considerata costituita di frammenti isolati, senza alcuna relazione fra di loro, casuali. La mancata correlazione fra i sintomi dell’attualità e, di più, fra i sintomi di tutta la storia anamnestica del soggetto lascia sbalorditi. Non si intravede il filo conduttore della vicenda che si va dipanando, della forma che è andata via via va assumendo la malattia fino al quadro clinico attuale. Aprioristicamente si decide che ogni frammento del puzzle va esaminato come se avesse in sé il suo inizio e la sua fine. Ed il suo terapeuta. E questa visione riduzionistica, miope, persino ridicola dall’individuo e della malattia è universalmente accettata come l’unica possibile, addirittura come l’unica “scientifica”, come se la scienza medica non fosse in grado di occuparsi dell’uomo in quanto tale, ma necessiti dividerlo e scollegare ogni porzione dall’altra.

Ci si può limitare come terapeuti a cercare il giusto rimedio omeopatico per il paziente che abbiamo davanti; come pazienti ad affidarsi ad un omeopata che trovi la cura per la propria sofferenza. Se però si fa appena un passo più in là si deve concludere che la scelta di curare e curarsi con la Medicina Omeopatica è parte di una visione più ampia, chiara e definita della vita e dell’essere umano.

La cosa più importante, ciò che realmente ha valore nell’attitudine del Medico è il senso dell’unità della vita. Se il Medico non ce l’ha, non può comprendere l’ammalato né fare niente per lui.
(Tomas Pablo Paschero)

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